Infuturarsi – a cura di Roberto Gandini

Scena teatrale da Infuturarsi

Ero in una scuola per parlare del Laboratorio “Piero Gabrielli” e vedevo davanti a me i ragazzi particolarmente distratti. Mi sembrava una distrazione triste, non quella bella evasione dalla realtà, piena di “voglia di fuori”, che si prova a scuola. Era una distrazione solitaria, senza trasgressione. E mi sembrava che anche i docenti fossero distratti, assenti. Qualcuno tentava di riempire quel vuoto con una sbirciatina su Facebook ma senza troppa foga. Allora, senza rendermene conto, ho cominciato a parlare di futuro, del loro futuro, del fatto che qualcuno li stava “fregando” perché non li aiutava a capire che, malgrado la crisi e tutto il resto, se non avessero iniziato a pensarci loro al loro futuro, sarebbe andata peggio di come poteva andare.

Poi però mi sono chiesto: – e tu al “Gabrielli” che fai? – Abbiamo così deciso di occuparci di futuro. Questa è stata la premessa, lo spunto del percorso che abbiamo cominciato a novembre 2016 e che si compirà con le recite del 1 e del 2 giugno 2017 al Teatro Argentina.

Al Laboratorio Gabrielli si fa sperimentazione, ma non come s’intende dire nel linguaggio teatrale, sperimentando nuovi linguaggi espressivi per comunicare in maniera innovativa; la nostra sperimentazione è una sorta di alfabetizzazione teatrale in cui i ragazzi, disabili e non, sperimentano i modi espressivi a loro più congeniali (canto, ballo, recitazione, pantomima), per raccontare nello spettacolo la loro parte di futuro.

Infuturarsi è uno spettacolo a quadri proprio per consentire ai diversi linguaggi teatrali di coesistere. Ci sarà un’operina buffa intitolata “La fuga dei cervelli”, in cui il protagonista Fausto, per non diventare un bamboccione, cerca di mettere in fuga il suo cervello ma, per la famosa storia dei coperchi e delle pentole, interviene il diavolo Mefistone a complicare le cose.

C’è anche una storia di cyberbullismo, che i ragazzi hanno voluto inserire perché, come ha detto uno di loro – Sia che subisci, sia che fai il bullo, quelle storie fregano tutti -. Stabilito che ci saremmo occupati di bullismo, dovevamo trovare la trama giusta e il giusto finale. E qui ci è venuta in aiuto un’idea di Gianni Rodari usata nel libro “Dieci storie per giocare”, in cui in ogni racconto l’autore mette tre finali. E così anche la nostra storia “bulla” avrà tre finali.

Invece nel quadro che noi chiamiamo “I monologhini”, sei ragazzi danno vita ad altrettanti personaggi che hanno in comune l’autoironia e la malinconia. Si va dal ragazzo che aspetta un autobus che non arriverà mai perché c’è sciopero e lui non lo sa, alla studentessa sconsolata che all’ora di ricreazione paragona la sua vita a quella di una “stupida lattina”, incastrata in una macchinetta delle bibite, al ragazzo con disabilità dimenticato in un corridoio scolastico da un’insegnante distratta e altri personaggi tutti da scoprire.

Non abbiamo certo tralasciato il tema dell’amore, o meglio della paura di non trovare amore; forse però bisognerebbe parlare di ansia d’amore, del timore di essere esclusi dal gioco dell’amore. Ci è sembrato interessante il paragone fatto da un ragazzo con disabilità che diceva di sentirsi come un soprammobile. Nel nostro spettacolo quel pensiero si è trasformato in una battuta: “Ogni tanto mi sembra di essere come una candela che nessuno accenderà mai, bella, intatta, con lo stoppino bianco. Ma le candele vanno accese, vanno consumate, se no a che servono, da soprammobile?”

Nel XVII° canto del Paradiso – verso 98 – Dante fa dire al suo antenato Cacciaguida -“s’infutura la tua vita / via più là che ‘l punir di lor perfidie” –  cioè consiglia di non perdere tempo a punire le perfidie altrui, ma di proiettarsi nel futuro, inventando la parola “infuturarsi”. Anche noi ascolteremo Cacciaguida-Dante, cercando di scacciare le perfidie e le angosce di chi rappresenta il nostro futuro catastrofico, ci infutureremo! Come dice il verso di una canzone dello spettacolo “…oltre il più lontano di tutti gli altrove”.

 

 

 

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